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Paolo Giobbi, custode del seme originale del Broccolo Romanesco


Che l’agricoltura sia un lavoro duro, faticoso e soggetto ai capricci metereologici è cosa nota a tutti; come anche che per praticarla sia indispensabile una grande passione. Oggi assistiamo, finalmente, ad un fenomeno di ritorno alla campagna da parte di giovani, ma qui voglio raccontare la storia di un agricoltore che da sempre ha voluto continuare la tradizione familiare; lo fa con passione, attento ad una gestione naturale del terreno e della coltivazione di ortaggi: Paolo Giobbi. Possiamo definire Paolo custode dei semi originali delle piante coltivate, ed in modo particolare del Broccolo romanesco. Ultimo di tre generazioni applica all’agricoltura i principi ereditati dalla famiglia, supportandoli con una conoscenza approfondita attraverso studi scientifici. Il territorio in cui opera è quello dei Castelli Romani, più precisamente ad Ariccia, nella vallata Vallericcia, una valle ai piedi della cittadina laziale un tempo lago preistorico che prosciugandosi ha lasciato un terreno fertile, ricco di acqua sorgiva ed esposto ad un clima mite, perfetto per l’agricoltura. Paolo attraverso una profonda conoscenza della materia, agricoltura tradizionale, biologica e biodinamica, è l’erede non solo della tradizione familiare ma di quella di tutto il territorio, infatti oggi è uno dei pochissimi coltivatori co alleva il broccolo romanesco, che di questa zone trae origine, e dove sino a pochi anni fa le aziende che lo coltivavano era decine.


La filosofia di Paolo è semplice, portare al consumatore un prodotto il più naturale possibile, quindi non solo l’allestimento dell’orto avviene rispettando le esigenze della pianta, ma anche quella di riprodurre i semi direttamente dal ciclo vitale dell’ortaggio; fiore all’occhiello della sua produzione è appunto il broccolo romanesco.. Questo fa parte della famiglia delle crucifere; come il cavolo, il cavolfiore, il broccoletto, il broccolo siciliano. La sua particolarità sta nella forma, a cono con il vertice in alto. In molti assimilano la forma di questa infiorescenza alla sequenza di Fibonacci, matematico vissuto tra il 1170 e il 1240, sequenza composta da numeri interi positivi in cui ciascun numero è la somma dei due precedenti. Nel broccolo il numero di rosette che lo compongono, partendo dal vertice alto, composto da un'unica inflorescenza, si succedono con forma regolare a comporre la forma conica. Le origini le ritroviamo nella campagna romana, da qui il nome; sembra che ad Ariccia ci sia una famiglia di coltivatori che detiene i semi derivanti dalle piante originali. Di questa pianta noi consumiamo non le foglie ma l'infiorescenza, le famose cimette, una volta separate le "roselline", non ancora mature ma gustosissime. L'inflorescenza nasce da un arbusto centrale, di cui noi utilizziamo anche la parte esterna, arbusto che in romano si chiama torzolo, che nell'idioma dialettale si assimila a qualcuno un poco tonto, un po' inutili, infatti del torso se ne consuma una parte minima.

Nel 1834, Giuseppe Gioacchino Belli, sommo poeta romanesco, nel suo sonetto “Er Testamento Der Pasqualino” chiama l'ortolano “Torzetto” perché coltivava e vendeva i broccoli romaneschi. Il broccolo romanesco è ricco di antiossidanti e vitamina C. E' una delle colonne portanti della cucina romana, meraviglioso consumato come contorno: bollito, al vapore o meglio ancora ripassato in padella con olio,aglio e peperoncino. Componente indispensabile per confezionare la vera grande minestra della cucina romana,: broccolo e arzilla, uno dei primi piatti nella storia gastronomica che abbina un prodotto dell'orto con del pesce...ed uno dei piatti forti della Viglia di Natale.

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