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La pasta al pomodoro? Il piatto più difficile

“È il piatto più semplice, ma anche il più difficile da fare. I suoi ingredienti stanno nelle cucine di tutti i ristoranti, ma nessuno o quasi lo mette sul menu”. Quando parla di pasta al pomodoro, Beniamino Faccilongo perde il sorriso schietto e appassionato con cui in genere racconta ciò che fa. I suoi pelati, quelli che da generazioni produce a Lucera, vicino Foggia, sono tra i più apprezzati dagli chef che spopolano su programmi e blog di cucina: ne fanno uso cuochi stellati come Antonino Cannavacciuolo o i fratelli Costardi, ma anche pizzaioli gourmet del calibro di Roberto Ghisolfi o Edoardo Papa. Eppure nella percezione comune, questo piatto bandiera della cucina mediterranea, patrimonio dell’umanità secondo le Nazioni Unite, salvacondotto per una vita lunga e sana secondo la scienza, è cibo da consumare quasi di nascosto. Dice Faccilongo, 57 anni, che guida l’azienda agricola Paglione insieme al resto della sua famiglia: “Fateci caso, quando vai al ristorante, la pasta al sugo o te la propongono sottovoce come piatto per i bambini oppure come alternativa per i vegani o se qualcosa è andato storto con la comanda. E prendete poi il pomodoro: quanti cuochi conoscete che nelle loro creazioni lo trattano da protagonista? Io nessuno. Assurdo, no? Ecco: è arrivata l’ora di ridare a questo prodotto la dignità che merita”.


La cheesecake salata al pomodoro

Sì, ma come? “Servono tre cose, da raccontare con cura ai clienti sia a voce che per iscritto sulla carta: una grande pasta, un grande pomodoro e un bravo chef che non rovini la materia prima”, risponde sornione toccandosi i baffi, mentre il cameriere serve il primo piatto. Già, perché, per dimostrare che una pasta al sugo merita di stare sul podio della ristorazione, Faccilongo ha organizzato qualche giorno fa una serata dal titolo “Metti una sera un pomodoro a cena”: si è accordato con un buon locale di Roma, Gli Ulivi, ai Parioli, ha portato i suoi prodotti e li ha fatti cucinare insieme ad altre eccellenze alimentari come quelle del pastaio artigianale Mancini.

Un insolito "Bloody Mary"


Risultato: un variopinto tragitto di sapori sia in termini di abbinamenti che per tipologie di pomodori. L’azienda Paglione produce infatti diverse specie di conserve. Spiega la moglie di Beniamino, Maira Costanza Albano, responsabile in azienda della trasformazione: “Abbiamo il Prunill, varietà tipica foggiana, piccola di dimensioni e con la caratteristica punta come quella del piennolo campano. Pomodoro che cresce quasi senz’acqua e proprio per questo garantisce una concentrazione di sapori cremosa, con una naturale dolcezza, che a molti piace mangiare così, soltanto al cucchiaio. Guai a cuocerla, basta appena scaldarla ed è perfetta con un goccio d’olio”. Ottima infatti sia cruda, nella proposta liscia come succo per un Bloody Mary, sia scottata, con gli spaghetti Mancini, olio e basilico (peccato soltanto per qualche errore nella cottura da parte dello chef). “Poi – continua Maria Costanza – abbiamo il pomodoro Roma, prodotto di grande equilibrio tra acidità e dolcezza, molto saporito e versatile negli usi”. Di grande personalità nel test sulla cheesecake salata della degustazione. A seguire: il pomodorino Pugliese, con la sua caratteristica buccia spessa, servito a crudo su una frisella con riduzione di vino. E per finire una Fregola all’acqua di pomodoro con carpaccio di spaccatelle, pomodoro pelato e pomodori semi dry Prunill: un’orchestra di consistenze e acidità capaci di esplodere in progressione nel palato.


con Beniamino Faccilongo

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