Il Kimchi, piatto coreano patrimonio Unesco, ora anche a Roma
Il ristorante Galbi
Ne esistono trecento versioni, che affondano in una storia lunga duemila anni. E per i coreani è un po’ quello che per noi rappresenta il pane: un alimento che non può mancare a tavola, per accompagnare il pasto insieme al riso, ma anche come ingrediente per piatti di carne o di pesce. Le luci dei gourmet si accendono sul kimchi, il preparato a base di foglie di cavolo cinese fermentate in salamoia a cui, nella versione più popolare, si aggiungono peperoncino, zenzero, colatura di calamari, cipollotti freschi e aglio. Nel dicembre 2013 l’Unesco ha dichiarato patrimonio intangibile dell’umanità questo prodotto simbolo della cucina coreana, in particolare per proteggere la pratica di produzione. Merito soprattutto dei suoi benefici per la salute e delle straordinarie proprietà antitumorali dovute alle dosi massicce di vitamine A, B e C, di minerali e di lactobacilli.
“Le tecniche di preparazione e conservazione – racconta Deuk Uoo Ferretti Min, cuoco italo-coreano e proprietario del ristorante romano Galbi, che in occasione del terzo anniversario del riconoscimento Unesco ha organizzato per tutto dicembre una serie di degustazioni e cene dedicate al kimchi – sono le stesse di duemila anni fa. E oggi, anche dopo la grande vetrina milanese di Expo, sempre più persone in Italia e nel mondo mostrano interesse per questa specialità piccante della Corea, che si candida a soluzione globale per la cucina salutista”.
Il kimchi
Secondo la tradizione, a novembre le donne si riuniscono per preparare il kimchi e per conservarlo in grandi giare di creta, mentre in occasione del Kimchi Festival grandi quantità del prodotto vengono distribuite alle famiglie povere. “La fermentazione – spiega Daniel Kim, il cuoco del Galbi – può durare un giorno, oppure anche anni, aumentando ovviamente la complessità dei sapori”. Quanto all’uso, oltre alla versione tale e quale per insaporire qualsiasi boccone, il kimchi diventa elemento portante per ricette di ogni tipo. Nel menu che celebra l’ingresso del Kimchi sotto la tutela Unesco, lo chef di Galbi ha proposto una sorta di antipasto a base di rolls di alghe, riso e verdure (Kimbap), seguito da frittelle di kimchi (Kimchi jeon), per poi riposare la bocca con una zuppa di ravioli ripieni del preparato (Ttzok mandu guk). Si riparte con una polpetta di riso fritto, ovviamente con dentro la miscela piccante a base di cavolo cinese (simile nell’aspetto a un nostro supplì). E si chiude con la pancia di maiale da assaggiare alterando il gusto forte del cibo cult coreano con quello delicato e dolce della mela cotta. “Sono convinto – prevede Ferretti Min – che se gli italiani sapranno vincere la normale diffidenza iniziale verso un gusto non certo immediato e facile, il kimchi può diventare una scelta gradita e di grande successo anche da noi”.
Nel link sottostante potete trovare la ricetta del Kimchi:
http://www.lagolaeilcucchiaio.com/single-post/2016/12/17/Il-Kimchi-coreano-patrimonio-Unesco