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Berberè, lieviti spontanei e piccoli produttori per la catena della pizza artigianale



Prendi due giovani fratelli calabresi, laureati a Bologna in economia e commercio, che decidono di aprire una pizzeria per studenti. Calcola che, al di là della passione e qualche libro di teoria aziendale, i due partono quasi da zero ma con l’idea cristallina di offrire una pizza buona, digeribile, artigianale e a prezzi contenuti. Metti una lunga ricerca su farine, materie prime di piccoli produttori e tecniche avanzate per l’impasto e la cottura. Aggiungici la fortuna di incrociare a cena i padroni di un peso massimo del biologico come Alce Nero, i quali sulla fiducia li lanciano sul grande palcoscenico di Expo. Mescola insieme il tutto e avrai la formula di Berberè, una delle realtà della pizza più originali e riuscite d’Italia.

Il progetto nasce nel 2010 dall’intuito di Matteo e Salvatore Aloe. Le pretese iniziali sono modeste, un locale per sfamare con gusto chi gravita intorno all’università bolognese. Ma, grazie a una chiarezza di visione, nel giro di poco tempo l’impresa guadagna l’attenzione della stampa e di investitori come Alce Nero. E lievita, come i suoi prodotti. Conquista Milano e altre città, fino a raggiungere novanta dipendenti, distribuiti su sette locali nella Penisola e due a Londra. “Non sarà mai un franchising”, promette però Matteo, durante la recente presentazione del menu autunnale nella filiale romana, aperta questa estate nel quartiere Nomentano. “Il motivo – spiega - è che soltanto la gestione diretta permette di salvaguardare l’artigianalità del prodotto, reso possibile da un forte investimento nella formazione del personale. Ci sono voluti tre anni per mettere a punto la ricetta della pizza e il processo produttivo, in modo che l’esperienza di gusto sia uguale in ogni locale. Questo significa minimizzare i rischi, imparare e insegnare a gestire le variabili date dall’uso di prodotti freschi e da una lavorazione molto particolare degli impasti”.


I fratelli Aloe


È qui, sugli impasti, che Berberè si gioca la sua carta migliore. Con tre varianti: la più classica con lievito madre vivo, fermentata almeno 24 ore a temperatura ambiente controllata; quella speciale, realizzata con una biga da farine di diversi cereali come farro e Senatore Cappelli; infine la più singolare, quella con l’idrolisi, senza lieviti aggiunti, ottenuta lasciando fermentare il grano spezzato con l’acqua calda.

Ed è proprio dalla fermentazione spontanea che nascono le pizze con il maggiore grado di fragranza all’esterno e di leggerezza dentro. Con un’esplosione di profumi e una digeribilità pressoché perfetta (l’unico problema che, confidando solo sul lavoro volontario dei lieviti interni del grano, non sempre l’impasto cresce a sufficienza e allora bisogna dirottare sulle alternative).

L’altra caratteristica di Berberè riguarda i prodotti che farciscono il disco. Biologici all’85 per cento, e comunque tutti provenienti da contadini e allevatori che sposano la filosofia artigiana. Idem per le bevande, poche etichette ma da vignaioli naturali o birrifici artigianali.


Una delle sale


Quanto al menu, spicca la scelta di non dare un titolo alle pizze (“quanti clienti abbiamo perso perché non trovavano la scritta Margherita”, sorride Matteo Aloe), ma di presentarle con la sola lista degli ingredienti e la provenienza. Ecco allora, dalle 15 proposte della carta autunnale, la Mozzarella di bufala di Caserta, pomodoro e basilico; la Salsiccia di Mora Romagnola, olive taggiasche, rosmarino, limone e fiordilatte; la Capperi di Salina, pomodoro Fiaschetto di Torre Guaceto, fiordilatte, origano, basilico e pepe; la ‘Nduja di Spilinga, pomodoro e caciocavallo; la Acciughe di Cetara, pomodoro, cipolla rossa di Tropea, limone e origano (la migliore della serata).

Prezzi alla portata, dai 5,90 euro per la pizza pomodoro, aglio e prezzemolo, fino ai 13,50 per la più ricercata Coppa estiva di Mora Romagnola, stracciatella, fiordilatte e olio all’arancia. “Non ci interessa – dice Matteo - la moda delle pizzerie Gourmet, che arrivano anche a proporre piatti da 35 euro. La pizza deve rimanere un prodotto popolare, che stimola la convivialità. Per questo noi le pizze le serviamo ai tavoli una alla volta, tagliate a spicchi, pronte per essere condivise tra i commensali”.


Le pizze "a spicchi" da condividere a tavola

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