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L'osteria della buona condotta


Ho conosciuto Matteo Scibilia una decina di anni fa, ero a Milano a presentare un' edizione della guida che curavo. Con l'editore avevamo adottato l'abitudine di invitare un cuoco della città , presente in guida dove si svolgeva la presentazione, ad accompagnare la presentazione con un piatto del suo menù. Quella volta uno degli editori volle fare un'eccezione, chiamando un "oste" di fuori Milano: appunto Matteo. Si presentò con tutti gli arnesi per preparare un risotto cacio e pepe, guarda caso il risultato fu eccellente, sarà stato per la mia presentazione? No credo proprio per il risotto del brianzolo. Tra noi nacque immediatamente un rapporto di stima e affetto reciproci, che dura ancora oggi; purtroppo la frequentazione è troppo sporadica. Quando mi reco a Milano troppo spesso sono senza macchina quindi raggiungere Ornago non mi è facile.

Dopo qualche tempo, da quella presentazione, però riuscii a raggiungere L'Osteria della Buona Condotta, ed ebbi modo di approfondire il rapporto con Matteo e con la sua cucina, un vero enunciato di cultura gastronomica; fondata sulla tradizione, sulla territorialità e sul prodotto di qualità. Matteo è un cultore della ricerca dei prodotti, interprete sano di un terroir ricco, che sapientemente sa coniugare la tecnica con il prodotto e la sua passione. Con lui, all'Osteria, lavora anche sua moglie, Nicoletta sommelier e appassionata di dolci; i gelati in lista sono realizzati da lei. Il locale, elegante nella sua semplicità, alloggia in un cascinale dei primi del novecento, e gli ambienti rispettano quello stile, accolgono l'ospite con la sobria eleganza che immediatamente mette a proprio agio. Della cucina posso solo aggiungere che il rispetto della tradizione lombarda trova piena soddisfazione, ma nello stesso tempo evolve secondo le regole precise della filosofia di Matteo.


Nella realtà della ristorazione italiana è davvero raro trovare una schiettezza così profonda come quella che ci dona Matteo. In un mondo di personaggi che preferiscono definirsi chef e non cuochi, che spesso si sopravvalutano, proponendo abbinamenti artefatti, decorazioni esagerati, sapori affastellati di creazioni architettoniche piuttosto che piatti rappresentativi di una cultura gastronomica, quella italiana, che dobbiamo tutti, sforzarci di coltivare e divulgare.

Grazie Matteo di coltivare la tua filosofia.

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