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Controluce, la promessa controcorrente di due amiche: cucina di qualità nel cuore di Trastevere



Di Massimo Cerofolini


Nel 1992, sui banchi della facoltà di Matematica all’Università di Roma, se l’erano promesso: tutte quelle ore passate in cucina ad aiutare le rispettive madri, a provare e riprovare le ricette rubate alle nonne, a scambiarsi segreti l’una con l’altra appena messi da parte i libri, avrebbero preso forma un giorno nei fornelli di un ristorante tutto loro. Hanno aspettato trent’anni, Laura Marasà e Simona Mochi, dopo una vita fatta di matrimoni, altri lavori e figli, per trasformare un ingenuo patto giovanile in decisione risoluta e operosa. E così, nel settembre dello scorso anno, queste due amiche inseparabili hanno aperto le porte di Controluce, locale nascosto in un vicolo di Trastevere, tra la Chiesa di San Francesco a Ripa e Santa Cecilia. Con una formula semplice ma al tempo stesso robusta: proporre un menu di piatti della tradizione italiana, eseguiti con tecnica impeccabile e ingredienti di primissimo valore.


Laura Marasà e Simona Mochi


Una scelta difficile, controcorrente, in un rione ormai frequentato quasi solo da turisti facilmente appagati con piatti di modesta qualità serviti nelle svariate insegne del posto. Laura e Simona, però, hanno le idee chiare. Intanto, la collocazione - in via della Luce - si sottrae, per quiete e atmosfera, ai caotici flussi di folla che intasano le altre strade del quartiere. E poi l’idea di riprodurre in chiave moderna lo stile di una vecchia locanda dove sentirsi a casa, accolti in una sorta di salotto foderato da carta da parati inglese a motivi floreali. Quello che però sorprende del locale è il senso di autenticità dei piatti. Senza velleità e complicazioni da grandi chef, ma puntando dritti a sapori riconoscibili, netti, confortevoli. In altre parole, sinceramente genuini.

Se si vuole trovare un filo nei percorsi proposti in carta, la metafora è quella di un viaggio nelle regioni di origine delle varie anime di Controluce. Laura, l’anima della sala, ha portato i suoi ricordi trentini e siciliani (le regioni dei suoi genitori), Simona, che cura la parte amministrativa, le sue reminiscenze marchigiane. Dallo chef Edoardo Bellucci, classe 1993, arrivano invece gli spunti abruzzesi, mentre dal sous chef Francesco Luciani, annata 1990, quelli toscani. E ovviamente, stante il luogo, presenza obbligata delle perle capitoline, dalla carbonara alla matriciana, dalla trippa all’abbacchio.



Da questo mosaico di provenienze si compongono così sapori che evocano le ricette casalinghe, filtrate però da tecniche di cucina contemporanea e presentazioni curate. Il tutto unito a una scelta di materie prime selezionate, attente alla stagionalità.

Tra i piatti provati, con uno scontrino in linea con la qualità, si parte da una superba degustazione di antipasti: insalata di nervetti, sfilacci di sedano, fregola croccante e chutney di cipolla rossa; polenta fritta, provola e funghi; baccalà mantecato con chips di topinambur e di patate viola (il più apprezzato dai commensali). Tra i primi, classici a parte, ottima esperienza con tre offerte un po’ più elaborate: pappardelle al ragù di agnello, zabaione salato e pane al prezzemolo; spaghettoro affumicato pastificio Verrigni con cozze e broccoletti; orecchiette fresche con salsa di broccolo romano e crumble alle nocciole. Mentre tra i secondi spicca di un’incollatura la spalla di manzo brasata, con il suo fondo e la verza riccia ripiena. Non mancano in compenso le alternative vegetariane, come la cotoletta di melanzana o la bistecca di broccolo romano.


Edoardo Bellucci e Francesco Luciani


Si chiude sontuosamente con i dolci, tutti creati con perizia artigianale da Laura Masarà, che si è fatta le ossa in una serie di importanti riferimenti della capitale. Imperdibile, dovendo scegliere, il Caffè Leccese, dessert che riprende la tipica bevanda salentina riproposta nelle spoglie di panna cotta al latte di mandorla, salsa di caffè e cacao, panna montata e mandorle caramellate, servito – come fossimo a casa di amici – in una tazza da tè in ceramica antica.

Ben disegnata infine la carta dei vini, complice il sommelier Stefano Parenti, che privilegia i piccoli produttori, quasi tutti del territorio laziale (Bellone e Cesanese in testa) o del resto d’Italia, salvo una perdonabile eccezione per lo champagne.

Del resto, anche un turista francese che entra a Controluce ha il diritto di sentirsi a casa.




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