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Andrea Fassi: il gelato storico che vola nel futuro



Questa è una storia che ha cavalcato il tempo e che ora sfida lo spazio. È la storia di chi crede che restare fedeli al proprio passato non significhi lasciarlo uguale, ma significhi cambiare, ripartire con la stessa sete di novità con cui i padri sono diventati grandi. È la storia di famiglia che da cinque generazioni a Roma è sinonimo di gelato artigianale: la famiglia Fassi.

Andrea è l'ultimo germoglio di questa dinastia del freddo. Ha 34 anni, una laurea in scienze politiche e parecchi chilometri alle spalle nei luoghi remoti del mondo. L’istinto per il gelato gli fluiva nelle vene fin da bambino, quando imitava i gesti di nonni e genitori nel laboratorio, ma la sua bussola lo spingeva (e in parte lo spinge ancora) nelle terre ardue della scrittura. A riportarlo al timone dell’azienda, su un piano rialzato a vista da cui sorveglia i 700 metri quadri del locale in via Principe Eugenio, è stato uno di quegli incidenti scatenanti con cui partono le avventure dei romanzi. È un evento doloroso che oggi racconta con pudore, forse temendo di non essere capito, di cercare un facile pietismo. Ne parla guardingo. Perché con l’incomprensione altrui, vedremo tra un attimo, si è scottato anche quando pensava di aver fatto la sua mossa perfetta.

Tanti fili spuntano e s’intrecciano dalle sue parole, dai quasi 140 anni della gelateria ai nuovi progetti, dai gusti antichi a quelli sperimentali, dalla visione dei suoi avi a quella sua personale, dai picchi di successo alle ore più buie. È un fiume in piena, Andrea Fassi, e parla con la voce spedita di chi ha fretta di lanciarsi verso un'altra curva ancora. Ma andiamo con ordine. E cominciamo da lontano, dalle tappe iniziali di questa vicenda.

Andrea Fassi, brevi cenni sulla storia di famiglia.



Andrea Fassi


"Tutto nasce nel 1880, con una piccola bottega del ghiaccio in via delle Quattro Fontane, vicino a Piazza Barberini. È il primo ingresso dei miei trisavoli, di origine piemontese lui, siciliana la moglie, nel mondo del freddo. Ma il grande artefice è il figlio, Giovanni. Pasticcere della Casa Reale, sceglie con coraggio di mettersi in proprio dopo un editto che obbligava i dipendenti dei Savoia a tagliarsi i baffi. Lui non ci sta e, dopo un paio di tentativi in Centro, nel 1928 apre il Palazzo del Freddo all’Esquilino, qui dove oggi lavoro io, rimasto fondamentalmente uguale nel corso dei suoi 90 anni. Si lancia nella nuova impresa con un’intuizione sociale visionaria: fino a quel momento il gelato era un privilegio per palati aristocratici, lui decide di portarlo al popolo, stessa qualità a prezzi abbordabili. Nel corso degli anni le generazioni della mia famiglia si susseguono. Nascono i nostri cavalli di battaglia: il Sanpietrino, la Caterinetta, il Ninetto, gelato con lo stecco al cioccolato, antesignano del cremino. Il successo cresce: il Quirinale che prima pagava lo stipendio a Giovanni, ora gli ordina i suoi prodotti per le cene di Stato. E persino un altro genio del settore, Alfredo Wiesner, apprezza l’arte del nostro laboratorio e propone a Giovanni di creare insieme un’azienda che avrebbe conquistato il mondo, l’Algida. Ma lui non accetta: il nostro gelato, risponde, deve rimanere artigianale. E quello industriale di Weisner prende un’altra strada”.

Arrivano poi gli anni del boom, quelli del consolidamento. Il Palazzo del Freddo guadagna la fama della migliore gelateria cittadina, la fila sul marciapiedi è la regola. E anche i turisti inseriscono una tappa all’Esquilino per assaggiare i coni alla crema Fassi. Uno di questi, nel 2003, è un avvocato coreano.

Si innamora così tanto del gelato che decide di proporvi un accordo.

“Sì, nasce con lui la nostra avventura all’estero. A Seul l’avvocato apre in franchising una serie di negozi sotto l’insegna Fassi, con la nostra consulenza direttamente in Asia. Poi, quattro anni dopo, si sfila e cede i diritti dei punti vendita coreani a una multinazionale del posto che fa pasticceria industriale”.

Passano altri cinque anni tranquilli. Gli affari vanno benone, sotto il pieno controllo della Famiglia Fassi. Andrea in quel momento segue gli eventi da lontano, quasi da spettatore. È ancora in cerca della sua stella e accumula esperienze frammentate. Lavora in Australia nella ristorazione, viaggia, continua a scrivere, fa consulenze sui gelati ai partner asiatici e si lancia nell’apertura di una gelateria romana che raggiunge una discreta fama nel mondo gourmet, Verde Pistacchio. Nel 2012, però, le cose si complicano. Muore lo zio, in quel momento colui che reggeva il peso della ditta.


L'antico edificio del Palazzo del Freddo all'Esquilino


Lei è restio a parlarne. Ma è da quel lutto che la sua vita prende una strada completamente diversa. Cosa accade?

“È stato un periodo difficile che non racconto volentieri. Anzi, preferirei proprio non parlarne. Comunque, è tutto successo all’improvviso: la gelateria perde la sua figura di riferimento. All’apparenza gli affari sembravano girare come prima. Le cose erano organizzate così bene che i clienti non si accorgevano di nulla e i gelati si vendevano senza problemi. Ma in famiglia eravamo tutti un po' smarriti, confusi. Che fare? Chi doveva mettersi alla guida? Mio padre, data l’età, non se la sentiva. E per esclusione la scelta è caduta su di me. I tanti rivoli della mia vita sono confluiti tutti in un’unica direzione, il Palazzo del Freddo. E ho subito capito che bisognava prendere qualche decisione drastica per andare avanti. Ci abbiamo pensato a lungo in casa, poi abbiamo scelto di rivolgerci ai nostri interlocutori in Corea. Contro ogni previsione la trattativa ha raggiunto presto un accordo vantaggioso: da partner del franchising, la multinazionale subentrava al cento per cento nella proprietà. Ma in cambio strappavamo due clausole decisive. Da una parte la possibilità di riacquistare parte delle nostre quote e dall’altra l’autonomia assoluta sulla qualità e la preparazione dei gelati e sulla gestione del locale dell’Esquilino”.

Qualsiasi esperto di marketing o di management avrebbe applaudito all’operazione in cui Andrea otteneva un doppio beneficio per l’azienda: capitali freschi per investire in nuove iniziative e totale controllo dell’attività. Win-win, direbbero gli inglesi.

Qualcosa invece va storto…

“Già, su internet e sui social cominciano a girare voci distorte. In tanti si scagliano contro la soluzione. Arrivano persino le accuse un po' razziste di aver svenduto i nostri gioielli ai cinesi, neanche ai coreani. Un turbine di fake news. Eppure, grazie all’ossigeno dei nuovi proprietari, decido subito di migliorare la qualità della materia prima: compriamo non più latte industriale, sia pure italiano, ma un latte di Nepi, di grande sostanza e a chilometro quasi zero; il fornitore del cioccolato diventa Domori; nella lista degli ingredienti entrano tanti prodotti Dop. Malgrado il palese miglioramento del sapore, la vulgata che gira è però quella di alto tradimento: Fassi, scrivono in rete, non fa più il gelato di una volta. La percezione è più forte dell’evidenza. E stavolta le vendite ne risentono. La clientela stava calando”.

È a quel punto che capisce che bisogna fare un salto.

“Aver migliorato la qualità dei gelati evidentemente non bastava. Volevo far capire a tutti che il cambio di proprietà non solo non avrebbe tolto nulla all’anima del locale e al suo legame con il territorio, ma anzi che avrebbe fatto del Palazzo del Freddo un luogo ancora più bello. Innovativo. E in questo senso fedele allo spirito dei miei avi, che innovarono le abitudini degli italiani rendendo accessibile un prodotto fino a quel momento appannaggio dei ricchi. È così che decido di puntare non soltanto sulle vendite, ma di creare un vero e proprio format. Poco alla volta prendono vita le tante iniziative che ruotano intorno al Palazzo del Freddo: laboratori per bambini, show cooking con gli chef stellati, tour guidati con i nostri maestri gelatieri, eventi a tema, feste di compleanno, corsi amatoriali e professionali, presentazione di libri, concerti e spettacoli nella nostra grande sala, sconti per chi arriva in bicicletta, partecipazione ad eventi del quartiere o in giro per l’Italia e tanto altro ancora. Insomma, da semplice gelateria a luogo di incontro dai mille volti”.

È così che la gente torna a fidarsi. Gli affari riprendono a decollare. Non solo. Il Palazzo del Freddo, che negli ultimi anni era soltanto un luogo della nostalgia, riconquista un posto nelle guide degli intenditori e sui blog enogastronomici. Ma senza perdere lo spirito popolare. Nell’olimpo dei migliori gelatai romani la vaschetta da un chilo non costa mai meno di 25 euro. Da Fassi ne bastano 15 (anche se presto potrebbe salire a 16). Del resto lo slogan di Giovanni Fassi era: il gelato di lusso a buon mercato.


I Sanpietrini, un classico della produzione Fassi


Oltre a migliorare la materia prima si è lanciato anche nella sperimentazione di nuovi gusti o di abbinamenti particolari.

“È una ricerca creativa che coltivo insieme alla mia passione per la scrittura. In fondo gli ingredienti sono come personaggi di una storia: possono attrarsi l’un l’altro per affinità o per antagonismo e la trama, in bocca, è spesso imprevedibile. Le idee nascono soprattutto dai miei viaggi. Mi piace trasformare in gelato pietanze di luoghi lontani. Dall’assaggio di un dolce in Tailandia è venuto fuori un gusto che mescola avocado, latte, caffè e uova, da un dessert turco il gelato all’orchidea, dalla Cina quello al tè verde, mentre dall’America latina la crema ai fagioli rossi mantecati al latte. Sono proposte che in genere preparo per le cene evento, ma un gusto speciale è presente ogni giorno al banco accanto a quelli più tradizionali”.

Come procede la collaborazione con i coreani?

“Molto bene. Faccio un report mensile sulle vendite e ricevo una visita dei loro manager una volta l’anno. Sempre una volta l’anno vado io in Corea per la formazione nei nuovi punti vendita. Loro insegnano a me come si guida una società, io insegno loro come si fa il gelato”.

Prossimi progetti?

“L’’idea è quella di aprire, oltre a nuovi punti vendita in Asia, anche altre sedi del Palazzo del freddo in Italia, a Parigi, Londra e Berlino. Sempre puntando su un format che vada oltre la vendita dei gelati, ma che crei comunità. Un progetto su cui sto investendo molto è poi la creazione di corner con l’insegna Fassi all’interno di mercati rionali o di grandi magazzini: non venderemo coni e coppette, ma le preparazioni storiche come il Sanpietrino o la Caterinetta”.

Il 20 ottobre lei è tra gli organizzatori di Esquisito, la manifestazione per promuovere le eccellenze gastronomiche dell’Esquilino.

“Il nostro quartiere è una terra di mezzo. L’immigrazione cinese a cui è seguita quella africana hanno trasformato profondamente il rione, che ora è in cerca di una nuova identità. Crediamo che sia proprio il cibo l’elemento chiave per frenare lo spopolamento e ridare a questo luogo, vicino alla stazione Termini, la sua vocazione di accoglienza e di apertura all’incontro con l’altro. Per questo abbiamo messo insieme i migliori artigiani del cibo presenti all’Esquilino: sia quelli italiani, con rappresentanze di diverse regioni, sia quegli stranieri, con il ristorante cinese promosso nelle guide, i venditori di spezie introvabili, il fast food indiano premiato nei concorsi gastronomici e molto altro ancora. Vogliamo fare dell’Esquilino un distretto del cibo multietnico. E squisito, s’intende”.

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