Sfizio a Termini, la pizza New York Style di qualità dove non t’aspetti
- di Massimo Cerofolini
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di Massimo Cerofolini
Davanti alla Stazione Termini, su via Giolitti, c’è uno di quei posti in cui di solito i romani non entrano. Insegna anonima, vetrina da tavola calda senza pretese, l’idea del panino triste mangiato di corsa tra un regionale e un Frecciarossa. Ma se fate il piccolo sforzo di varcare l’ingresso, scoprite che lì dentro c’è tutta un’altra: un laboratorio di innovazione piantato dove meno te lo aspetti. Il locale si chiama Sfizio, ma potrebbe chiamarsi “testa dura di quarta generazione”. Quella di un ragazzo romano che poteva accontentarsi di un lavoro dove i clienti non mancano mai e che ha scelto invece di abbracciare il futuro che lo rende felice.
Sfizio nasce nel 1948 come Bar Pasticceria Etna: la nonna dalla Sicilia porta dolci, coraggio e caffè caldo alla Roma del dopoguerra. Poi, negli anni, si trasforma, come raccontano le foto appese alla parete con volti e abiti di un’altra epoca: si allunga il bancone, arriva la pizza “a trancio” alla americana, stile autogrill, quella gommosetta che sfama tutti – turisti, pendolari, studenti – senza grosse gioie per il palato. Anzi. La classica storia di un locale di stazione destinato a sopravvivere per inerzia. Fino a quando entra in scena l’ultimo nato della generazione.
Leonardo Lanza ha 34 anni, è nato a Roma ma la sua cucina parla con accento globale, tante lingue per ognuno dei luoghi in cui ha appreso i vari mestieri della ristorazione: Londra, Sydney, Melbourne, Philadelphia, Granada. Gambero Rosso, scuole di cucina, pizzerie serie, poi il ritorno a casa. E qui, quando il padre lascia il comando, scatta il cortocircuito. Perché invece di aprire l’ennesimo bistrot modaiolo in un quartiere gentrificato, decide di prendere in mano proprio Sfizio, davanti alla stazione, in un luogo da cui quelli che amano il buon cibo stanno alla larga. E provarci, proprio lì. Non per distruggere quello che c’era, ma per ribaltarlo dall’interno.

Pizza con pomodorini, mozzarella di bufala, olive e basilico
Il primo muro, infatti, non è Termini, i dintorni della stazione, zona non certo facile per le molteplici frequentazioni umane. Sono i camerieri storici, la vecchia guardia della pizza “alla americana”, convinti che il nuovo sia una perdita di tempo, un fastidio inutile. Lui non cancella il loro prodotto-feticcio: mantiene le stesse forme, le stesse dimensioni tonde e larghe, lo stesso formato da trancio, la stessa idea di pizza da viaggio. Ma la svuota e la riempie da capo. Lievitazioni lunghe, farine selezionate, impasto con semi integrali, materia prima da piccolo produttore, bufala di Tenuta Pontoni, formaggi artigianali, ‘nduja calabrese premiata nelle guide, spunti esotici come il kimchi, vino da microcantine, birre Baladin, kombucha, caffè di torrefazione d’autore (per la cronaca, l’ottimo Rinaldi, che ha studiato una miscela sui gusti di Leonardo). In pratica: fa Bonci in un corpo da pizzeria da stazione.
La mossa più radicale è l’idea di proporre a Roma una vera New York Style pizza – ma “Made in Italy” sul serio. Per palati gourmet. Come non ce ne sono. Disco da 45 centimetri, servito a fette generose, base morbida ma stabile, leggermente caramellata sotto, pensata per reggere topping complessi. Alla tradizionale “pepperoni” lui mette un salame di alta qualità, non la plastica rossa che gira di solito. Ma il gioco vero sta nelle contaminazioni: la Roma–Seul con porchetta e kimchi (che ho assaggiato: un abbraccio tra Castelli e Corea), la Sfungata con cinque tipi di funghi e caciocavallo a produzione limitata, la Marinara “Mediterranea” in cui alla salsa di pomodoro aggiunge alghe raccolte dopo una ricerca sulle erbe della macchia, per restituire in bocca l’odore del mare quando scendi verso una caletta. Non sono velleità da foodies, ma un modo molto concreto di dimostrare che anche la pizza da trancio del viaggiatore può essere un piatto serio.
Nel frattempo Sfizio resta (per ora) quello che è sempre stato: aperto dalla mattina alla sera, colazioni con cornetti e maritozzi fatti in casa, supplì e arancini con riso selezionato, panini per chi corre al binario, dolci artigianali, tè alla pesca e aranciata preparati da loro. Il 98 per cento di ciò che entra nel piatto, sottolinea il giovane titolare, viene fatto lì dentro. In un quartiere dove l’offerta sembra clonata e la logica è “prendi i soldi e scappa”, questa scelta è quasi un atto politico: usare il formato popolare, ma caricarlo di qualità e responsabilità.
Responsabilità che non si ferma al cibo. Ogni domenica, insieme a Mama Termini, Sfizio prepara pasti caldi per i senzatetto della zona. E con la “pizza sospesa” chi può lascia pagata una pizza per chi non può, alla vecchia maniera del caffè sospeso napoletano. “Un modo - spiega Leonardo - di ricordare che Termini non è solo un flusso anonimo di valigie, ma un quartiere vero, con persone che restano, si conoscono, si aiutano”.
La cosa che colpisce, in questa storia, è la direzione. In un punto esatto di Roma dove la tentazione sarebbe abbassare il livello, vendere cibo medio a clienti di passaggio e vivere di rendita, Leonardo fa l’opposto: alza la qualità, complica la vita alla propria cucina, investe su ingredienti, ricerca e sperimentazione. Non scappa dal contesto difficile, lo prende di petto. Vuole competere, di fronte, col Mercato Centrale, scrigno di eccellenze gastronomiche a prezzi stellari, ma restando un presidio indipendente accessibile a tutti i portafogli. Un progetto in erba, in via di definizione: presto arriveranno insegne che sottolineano come lì si mangi “la vera pizza New York Style di qualità”. E la lista dei produttori di qualità che sceglie negli ingredienti, oltre che confidata al cronista, andrebbe inserita nel menù per la clientela. La storia, in fondo, è parte di questa innovazione che eleva un pezzo di pizza a trancio, mangiata in piedi guardando i tabelloni dei treni. Solo che dentro quel trancio ci sono quattro generazioni, mezzo mondo, una visione ostinata del futuro e l’idea che anche un luogo malvisto della città possa diventare un laboratorio per un’idea piccola, certo, ma generosa.


















































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