La Struncatura calabrese
Ecco una ricetta semplice ma meravigliosa di antiche origini, riproposta da Filippo Cogliandro
Ingredienti per 6 persone per La Struncatura calabrese:
1 pacco di pasta struncatura da 500g
1 spicchio d'aglio
6 filetti di acciuga sott'olio
50 gr di olive nere
olio extra vergine d'oliva biologico Terre di San Mauro
50 gr di pangrattato
peperoncino calabrese fresco sott'olio
Preparazione per La Struncatura calabrese:
In una padella versare l'olio evo biologico Terre di San Mauro e lasciarlo insaporire con uno spicchio d'aglio, versare i filetti di acciuga e le olive nere precedentemente denocciolate. Lasciare cucinare a fiamma soffice mescolando fino a far sciogliere i filetti di acciuga.
Aggiungere il peperoncino calabrese fresco e il pangrattato per far assorbire l'olio di cottura.
Portare in ebollizione l'acqua in una pentola, calare la stroncatura e lasciare cuocere per 9 minuti.
Scolare la struncatura e versarla in padella, iniziare a mantecare aggiungendo di tanto in tanto dell'acqua calda non salata o brodo di verdure non salato.
Filippo Cogliandro
Esiste al Sud, e precisamente nella zona di Gioia Tauro, Bagnara e Palmi in Calabria, un piatto squisito ma povero, talmente povero e di così misera origine che per lungo tempo fu proibito e la popolazione lo consumava di nascosto: la struncatura, chiamata anche stroncatura.
Mentre oggi si consuma, principalmente nei tre Comuni appena citati, la sua origine deve farsi risalire nel solo Comune di Gioia Tauro dove, durante la metà del 1700, alcuni commercianti amalfitani decidono di trasferirsi da Amalfi perche, in quel periodo, tutta la zona di Gioia Tauro era in grande fermento per il commercio dell’olio.
Giunti a Gioia, molti commercianti portarono a loro seguito anche le loro tradizioni ed i loro prodotti. Primo fra tutti la Struncatura.
Trattasi di un tipo di pasta secca fatta a macchina (non a mano), di formato simile alle linguine e lunga, circa, quaranta centimetri che, già a fine Settecento, veniva prodotta nei pastifici artigianali a Gioia Tauro con gli scarti delle crusche di molitura da alcuni commercianti amalfitani. Si narra che la farina venisse letteralmente spazzata dal pavimento dei loro depositi per poi essere raccolta e utilizzata negli arcaici pastifici e farne la pasta che risultava scura, callosa e molto, molto saporita. Se era troppo acida a causa del clima o per i grani umidi, veniva utilizzata come cibo per animali. Piatto povero e umile la stroncatura, ma in essa c’è tutta la cultura del cibo del Sud, secondo la quale ogni alimento è sacro e non va mai sprecato.
C’è da dire che l’igiene della modalità di produzione della stroncatura era veramente scarsa e poco controllabile, tanto che, verso la fine dell’Ottocento, le autorità ne proibirono la vendita. La stroncatura però, che nutriva la gran parte della popolazione, continuò ad essere smerciata sottobanco e divenne così merce di contrabbando. Fino a non molti anni fa si poteva ancora trovare in alcune botteghe di Gioia Tauro, sfusa o avvolta nelle classiche confezioni di carta da mezzo chilo. Il piatto tipico è con alici, olive nere, capperi, aglio e mollica tostata. La mollica serviva per fare asciugare l'amido della pasta che finiva la cottura insieme al condimento che veniva allungato acqua di cottura. Questo procedimento consentiva di non far disperdere, appunto, l'amido della Pasta ".