Romana, napoletana e a taglio gourmet, Pizza & Bolle si fa in tre

Di Massimo Cerofolini
Uno la sforna in teglia con guarnizioni creative, trovando un punto esatto di cottura in cui l’impasto resta così elegantemente fragrante da procurare quel piacere sonoro al morso senza scadere nella densità di un biscotto. L’altro la serve ai tavoli esibendo la versione romana bassa e scrocchiarella ma innovandola con impasto gourmet e topping da alta cucina. E il terzo resta fedele al rito napoletano, ma con un tocco moderno, dando al cornicione una leggera croccantezza e soprattutto ornando il disco con ingredienti di primissima scelta e sapiente lettura.
La banda di Pizza & Bolle si fa in tre, con un format che mette insieme una pluralità di modi per concepire l’alimento simbolo del Belpaese. Tre diverse insegne, due delle quali nuove, per esplorare la galassia degli impasti in ogni curvatura, con la chiave che da sempre distingue il progetto, ossia l’abbinamento a spumanti d’ogni tipo.

Una golosa pizza romana in teglia
Andiamo con ordine. Il primo assaggio è per la pizza romana in teglia. Il piccolo locale, nel quartiere capitolino di Prati, porta l’insegna identificativa di San Biagio, santo protettore della gola capace secondo i fedeli di moltiplicare il volume dei panettoni. A infornare provvede la mano di Mauro Pedone, giovane virtuoso dell’arte bianca formatosi alla corte di re Seu: il prodotto che firma è sorprendentemente leggero e croccante, ma con una personalità nel corpo tale da accogliere senza coprirle materie prime di qualità rara, composte in chiave colorata e originale. Tra gli assaggi, oltre ai classici, si segnalano una rossa con burrata, alici e gocce di peperoncino leggermente piccante ma anche una ripiena di mortadella con due strati di pizza cotti separatamente e con un misto di farine tra cui spicca per effetto spiazzante una parte di polenta. Nel locale anche un girarrosto per il pollo allo spiedo (che viene marinato due giorni), fritti avvolti in panatura rustica e farciti con riso Acquerello e composizioni secondo l’estro del giorno (ottimo il supplì con burro e salvia).
Accanto, a due numeri civici di distanza, c’è il vecchio locale di Pizza & Bolle, conosciuto come Sant’Isidoro, la prima stella del progetto inaugurato nel 2019. Qui l’idea resta quella della classica vera pizza napoletana, ma il pizzaiolo campano Giovanni Nesi idrata l’impasto al 78 per cento, facendolo lievitare per almeno 36 ore con una miscela di quattro farine da grani antichi. Risultato: un cornicione ben pronunciato come da protocollo, ma di alta digeribilità e con un leggero accenno di crunch nel bordo.
Infine, ma non per ultimo, l’altra grande novità: San Martino, come il protettore degli osti e dell’abbondanza, nel quartiere Ostiense, che da locale di tradizione napoletana cambia pelle e si modula sulla pizza romana contemporanea. Al timone c’è Alessio Muscas, scuola Callegari, che per seguire il progetto abbandona la pala di Sbanco. Anche qui una pizza versione capitolina ma con spiccate peculiarità: maggiore idratazione, impasto indiretto di farina 0, lievitazione di due giorni, e soprattutto niente mattarello ma una più efficace stesa a mano. Quello che esce è un bordo supercroccante e una parte centrale più morbida che svela l’impasto al morso.

La Crocchetta di Porchetta
A chiudere il cerchio anche l’idea, per tutti e tre i locali, di affidare a un cuoco di esperienza la creazione dei topping delle pizze e dei ripieni dei fritti: è Francesco Azzaretto, passato per cucine rinomate come Osteria Fernanda o Cuoco e camicia. Sua la sfida di equilibrare le guarnizioni tenendo insieme gusto, misure, quantità e consistenze di tre diverse tipologie di prodotto. Dal suo istinto per la sperimentazione nascono idee come la Tre Pomodori + 1 (pomodoro dry, pomodoro semisecco frollato, pomodoro paccatella gialla, ristretto di pomodoro homemade, topping di crema al basilico), la Mazara (base focaccia, stracciatella di Andria, gambero crudo di Mazara del Vallo, zest di limone candito homemade, olio alla menta homemade, foglie di menta) o la Capricciosa (uovo semisodo, polvere di olive taggiasche homemade, carciofo Agnoni alla giudia, fiordilatte dei Monti Lattari, crema di carciofi, Pomodoro San Marzano DOP, prosciutto crudo di Parma). Tra i fritti svettano la Crocchetta di Porchetta (porchetta homemade cotta a bassa temperatura per 36 ore, il risultato è una sorta di ‘pulled porchetta’; servita con salsa tzatziki) o semplicemente il Supplì (riso Acquerello, sugo con pomodoro San Marzano DOP, fiordilatte di Agerola, pangrattato homemade; il risultato è quasi un risotto fritto, con panatura croccante e cuore cremoso).
Monumentale, ma visto il nome del gruppo non poteva che essere così, la carta dei vini, con oltre cento referenze di bollicine da tutto il mondo: Champagne, Franciacorta, Trento e via dicendo. L’abbinamento tra pizza e birra, infatti, attecchisce soprattutto nel sud Italia, causa il divieto negli Anni ’40 di somministrare bevande sopra i 5 gradi nelle pizzerie. Una necessità burocratica, più che una scelta meditata. Non sempre infatti le nozze tra i due partner sono felici: la spinta acida del pomodoro in una Margherita può fare a pugni con l’amaro di una lager, mentre entrambi gli alimenti sono carichi di grano, dunque gonfie di carboidrati, e di lievito, non proprio il massimo per una rapida digestione. Di qui l’idea dei fondatori di Pizza & Bolle (tra cui l’attore romano Alessandro Borghi) di suggerire il vino come la più appropriata delle compagnie per la pizza. E pensare che tutto è nato anni fa per caso. Quando a una pizzata casalinga non c’erano birre dentro al frigo. Ma solo una prestigiosa bottiglia di spumante francese.
Comments