Il bocconcino, osteria di ricette romane dimenticate all’ombra del Colosseo
Di Massimo Cerofolini
Fare cucina romana di qualità, in una zona come il Colosseo dove i coperti garantiti dai turisti non stimolano certo l’estro dei cuochi, era già un buon risultato. Ma a un certo punto anche questa eccezione virtuosa non bastava più. Serviva qualcosa che connotasse ancora meglio il locale, amato da certa clientela straniera ma poco conosciuto nel giro delle guide e dei palati gourmet cittadini.
Poi l’ispirazione è arrivata. Non solo carbonare e matriciane fatte a regola d’arte. Ma anche ‘ngozzomoddi, tordo matto, ragù di rigaglie di pollo, anatra alla Cesanese, animelle al Marsala. Se questi nomi vi dicono poco sappiate che è normale. La cifra de Il bocconcino, osteria tipica nel cuore del Celio, è proprio questa: andarsi a leggere i vecchi libri di Pellegrino Artusi o Ada Boni, ma anche del grande Livio Jannattoni, per recuperare tutte quelle ricette della Capitale e del Lazio che affondano nella notte dei tempi e risvegliano la memoria d’infanzia per tanti ultracinquantenni.
Cucina introvabile, piatti dimenticati della vera tradizione romana e laziale.
Giancarlo Pragliola
Merito di questa svolta va a Giancarlo Pragliola, ex farmacista, da sempre vissuto all’ombra dell’Anfiteatro Flavio. “Devo a mio nonno Alfredo – racconta il patron del ristorante – l’amore per la cucina autentica, quella che si faceva fino a quando non hanno inventato i frigoriferi, come diceva lui. Fare la spesa ogni giorno al mercato, cercare quei sapori d’un tempo, le minestre di pasta e ceci o broccoli e arzilla, le erbe spontanee, gli incroci di ingredienti che si erano smarriti. È tutto ciò che mi ha sempre attratto al punto da abbandonare il mestiere per cui mi ero laureato e gettarmi in questa avventura”.
Già da tempo Pragliola aveva imboccato una strada molto diversa dai colleghi della zona, più propensi a una cucina mordi e fuggi per visitatori di passaggio. E dunque, paste fatte a mano o di aziende come Cavalieri, prodotti solo di stagione (“niente carciofi alla giudia d’estate o melanzane alla parmigiana d’inverno”), carni di manzo allevate esclusivamente a erba con un protocollo certificato dall’Università di Bologna, fornitori selezionati tra i migliori riferimenti nazionali. Sì, nazionali. Perché malgrado la spiccata impronta del Lazio, il proprietario non crede nella pratica del chilometro zero. “Preferisco il chilometro buono, quello migliore rispetto a quello più vicino che non è necessariamente il massimo. Certo, se poi chilometro zero e chilometro buono coincidono, allora abbiamo il chilometro perfetto, un piatto cioè dove storia, cultura, eccellenza della materia prima e freschezza coincidono”.
Gli 'Ngozzomoddi
È così che si arriva – dopo la pausa del covid – alla nuova visione della trattoria: puntare sulla ricerca di ricette locali che nessuno fa più. Ma che mantengono tutta la forza della genuinità che i più attempati ricordano. Due in questo senso sono oggi le formule su cui punta Il bocconcino. La prima rievoca le vecchie osterie della città. Che non avevano un menù, perché non ce n’era bisogno.
Sapevano, gli avventori, cosa si serviva ogni giorno della settimana: ossia quello che offriva di volta in volta il mercato. Era il famoso menu calendario, che qui torna con proposte a rotazione da scegliere sulla lavagna (martedì e venerdì baccalà coi ceci o pesce azzurro; giovedì gnocchi, sabato trippa, domenica arrosti e lasagne, lunedì gli avanzi riciclati del giorno prima, come bollito alla picchiapò o polpette).
La seconda proposta è lo zoccolo duro della tradizione laziale. Dai grandi classici, come carbonara, amatriciana e cacio e pepe, ai cosiddetti introvabili, come gli ‘ngozzomoddi (polpette di carne bianca con sedano e cannella della cucina giudaica), il tordo matto (involtino di carne con all'interno un battuto di grasso di prosciutto, aglio, prezzemolo, coriandolo, sale, ed altre spezie locali), i supplì con le rigaglie di pollo o i taglioni con ragù d’anatra.
Completano il quadro una selezione di vini curata dall’enoteca Trimani, una pizza a impasto idratato e dessert mai banali ma sempre ancorati nei ricordi dei romani di un tempo. Imperdibile la crostata di ricotta e visciole.
Il supplì con le rigaglie di pollo
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